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La Dipendenza Affettiva e il lavoro: la ricerca ossessiva del riconoscimento

La Dipendenza Affettiva e il lavoro: la ricerca ossessiva del riconoscimento | Dipendiamo.blog

Avete mai avuto a che fare nel vostro ambiente lavorativo con persone ossessionate dal ricevere un riconoscimento da parte dei proprio colleghi o dai superiori? E cosa può centrare questo con la Dipendenza Affettiva?

Come visto nei precedenti articoli, chi soffre di Dipendenza Affettiva vive con la costante paura di essere abbandonato e di valere meno di qualsiasi persona. Questo non è valido solo nel contesto amoroso o di coppia, ma in qualunque contesto, anche in ambito professionale.

Questo fa sì che il dipendente affettivo sul posto di lavoro sia una persona molto efficiente, che dedica tutte le sue energie al lavoro; lo scopo però non è quello di fare carriera e assumere un ruolo dirigenziale, ma quello di ottenere il riconoscimento, l’approvazione degli altri,  per colmare un insaziabile bisogno di amore.

La ricerca ossessiva del riconoscimento

“A me sembrava di fare il massimo… mi sono distrutta per questo lavoro perché lui aveva delle aspettative e io cercavo di mantenerle”. (Luisa, 37 anni)

Questa condizione di ricerca ossessiva di riconoscimento è rappresentata molto bene nel film “Il diavolo veste Prada” (The Devil Wears Prada) diretto da David Frankel del 2006, nel quale la protagonista accetta un lavoro solo per il riconoscimento che mira ad avere, senza tenere in considerazione le sue aspirazioni, i suoi bisogni e la sua famiglia.

“Io non capisco, quando faccio una cosa giusta nemmeno un grazie, ma se sbaglio, lei diventa… diabolica!” (Il diavolo veste Prada, 2006).

Ma come si arriva a questa forma di dipendenza?

Come per la Dipendenza Affettiva, anche per il percorso che porta alla Dipendenza da Lavoro si possono riconoscere “fasi” attraverso il quale si genera il comportamento  patologico, partendo dalle stesse fragilità e mancanze che rendono una persona un dipendente affettivo. Vediamole insieme di seguito.

LA PRIMA FASE: LA RICERCA DI CONFERME

Ciò che spinge il dipendente affettivo a lavorare in modo instancabile è il bisogno di conferme, che avviene anche attraverso il successo professionale: è disposto a sacrificare tutto per ricevere una manifestazione di affetto, sperando così di aver trovato una soluzione alla paura dell’abbandono.

Il lavoro viene concepito come unica fonte di valorizzazione, poiché attraverso esso sente di contare qualcosa per i colleghi e i superiori; è quindi così che si innesca anche questa dipendenza: il lavoro colma il vuoto che il dipendente affettivo sperimenta ogni giorno nella propria vita personale, dove vive con la paura costante di perdere tutto ciò che gli è più caro.

LA SECONDA FASE: LO SPECCHIO ROTTO

Con il tempo tuttavia la dedizione per il lavoro del dipendente affettivo diviene la “normalità” per i colleghi, per cui gli apprezzamenti diminuiscono ed è in questo momento che si insinua ancora la paura dell’abbandono e della solitudine; per questo motivo il dipendente si sforzerà di fare ancora di più, fino a correre dei rischi per la propria salute fisica, oltre che psicologica.

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Il dipendente affettivo si serve degli altri come specchio in cui poter vedere riflesso il proprio valore, poiché il suo bisogno di riconoscimento è molto potente e influenza tutte le sfere della sua vita; quando gli altri non rimandano risposte di approvazione, lo specchio si rompe, ponendo fine a questo incantesimo.

“La mia vita privata è appesa a un filo…”

“Benvenuta nel club, è quello che succede quando cominci a funzionare sul lavoro… Fammi sapere quando la tua vita va completamente all’aria, vuol dire che è l’ora della promozione.”

(Il diavolo veste Prada, 2006).

L’insicurezza è in agguato non appena si verifica qualche cedimento, rafforzando ulteriormente la dipendenza.

LA FASE FINALE: L’INGIGANTIRSI DEL VUOTO

Il dipendente affettivo non riesce ad essere in contatto con sé stesso, non avverte il proprio vuoto interiore e la rabbia ad esso associato: implode tenendosi dentro tutta la sofferenza per non manifestare il suo malessere a chi gli è accanto, per il timore di essere giudicato.

Il verdetto finale purtroppo arriva in modo dirompente: il dipendente affettivo ad un certo punto crolla a causa dell’intossicazione da lavoro, si rende conto di aver trascurato gli amici, la famiglia, la salute e i propri bisogni emotivi.

Il vuoto diviene ancora più profondo di fronte alla scoperta che il lavoro, a cui si è dedicata tutta l’energia, non è più fonte di appagamento; il senso di fallimento provato allora è ancora più acuto di prima e rischia di sfociare nella depressione.

La soluzione alla ricerca di riconoscimento patologico?

Prendere consapevolezza delle proprie fragilità!

Quando la dipendenza affettiva contamina la propria vita lavorativa, si attiva la paura di non piacere, di non avere valore, sia affaccia il timore del rifiuto e dell’abbandono, a cui si accompagnano comportamenti compulsivi mirati a superare ogni limite pur di sentirsi accettati e apprezzati.

Affrontare la Dipendenza Affettiva in ambito professionale significa prendere consapevolezza che i comportamenti perfezionistici, l’eccesso di disponibilità e il bisogno di affermazione sono modi utilizzati per sfuggire all’angoscia provocata dal vuoto emotivo che altrimenti farebbe sprofondare nella paura del rifiuto e dell’abbandono.

Credit immagine: Yanalya
Valentina Poma: Tirocinante post laurea di Psicologia clinica presso Dipendiamo - Centro per la cura delle New Addiction, ho conseguito la laurea magistrale all'Università degli studi di Bergamo. Durante gli studi ho avuto esperienze lavorative tra cui la più importante come educatrice presso la Scuola papa giovanni XXIII Monterosso
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