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Coppia Dipendenza Affettiva

La ballata… della dipendenza

Ascoltare “La ballata dell’amore cieco” una sola volta non basta.

Così come non basta un solo articolo per approfondire il concetto di “amore cieco”, già introdotto in un precedente articolo, visto, ora, con una lente diversamente clinica e focalizzata sui concetti di dipendenza, di attaccamento e di relazione “amorosa” ad ogni costo.

L’amore cieco

Fabrizio De Andrè, sembra narrare o condensare in pochi minuti l’inseguimento verso l’altro che le persone, molte persone vivono o hanno vissuto, scritta in rima appoggiata su di una melodia forse pensatamente leggera.

Si nasce o si dovrebbe all’interno di una relazione amorosa e la vita, intesa in senso generale, è significativamente influenzata dal rapporto che abbiamo con noi stessi e che instauriamo con gli altri, soprattutto quando siamo spinti dalla consapevolezza dell’amore o da ciò che consideriamo tale.

Sappiamo che il Cantautore scrive e poi canta di un amore non corrisposto tra, o meglio, di un uomo compiacente e malleabile ed una donna insensibile, incurante del sentimento, ma vorrei porre l’attenzione su un punto importante: lui e lei non hanno un’età. Potrebbero indifferentemente essere lei e lui, non importa chi rincorre chi.

In realtà, coloro che disperatamente cercano di avere l’amore dell’altro, ad ogni costo, aldilà della diagnosi clinica di una difficoltà o di una dipendenza affettiva e che simbolicamente “strappano il cuore alla madre”, agiscono e vivono solo in funzione dell’altro.

La Dipendenza

Queste considerazioni non devono suggerire che la ricerca di un partner ed oltre, la dipendenza, siano sinonimo di relazione disturbata, non funzionale o patologica. Tutti noi abbiamo bisogno di legami affettivi.

L’etologia insegna che, nel mondo animale, la dipendenza tra esemplari della stessa specie è un evento naturale e necessario per la sopravvivenza e culmina quando il cucciolo, accudito dai genitori si sviluppa, cresce e diventa adulto.

Per quanto concerne l’essere umano, il periodo di accudimento genitoriale per completare lo sviluppo e raggiungere l’autonomia dell’età adulta è molto più lungo.

In questo senso, rammento il concetto di uomo come “animale neotenico” (Bolk), secondo cui completare la propria maturazione dalla nascita, dopo un lungo periodo di dipendenza dalla madre, può essere all’origine di difficoltà affettive e relazionali nell’età adulta, così come nella società odierna il raggiungimento dell’autonomia personale è prolungato causa studio, ricerca del lavoro e di una abitazione che favoriscono una dipendenza anche economica, con risvolti negativi sul versante psicologico e relazionale.

L’attaccamento tra genitore e figlio

Le persone hanno bisogno delle persone, per cui una certa forma di dipendenza è implicita nella relazione tra genitori e figli ma anche e soprattutto in quella tra adulti, particolarmente nell’ unione amorosa, all’interno della quale riproducono schemi di attaccamento acquisiti nel rapporto con le figure parentali, secondo gli studi sulla teoria dell’attaccamento madre – bambino poi proiettato e vissuto nel legame con l’adulto (Bowlby, Ainsworth).

Nel rapporto di coppia, citando Borgioni, tendiamo a farci accudire con la stessa fiducia o timore del bambino che siamo stati e ad accudire con la stessa amorevolezza che i nostri genitori hanno avuto per noi.

Spesso, gli adulti con problematiche affettive sono stati bambini che si sono presi cura dei loro genitori e che non hanno vissuto serenamente la loro infanzia, in un certo senso degli adulti in miniatura apparentemente sicuri, forti e responsabilizzati e che hanno parzialmente interiorizzato un contenimento emotivo rassicurante da parte delle figure parentali.

Per cui, seguendo lo schema evolutivo di Bowlby, è possibile affermare che la difficoltà nella dipendenza affettiva abbia origine dal tipo di attaccamento interiorizzato, nel senso che il bambino ha percepito la presenza dei genitori ma non li ha vissuti, sempre secondo Bowlby, come una “base sicura”.

La relazione “amorosa” ad ogni costo.

All’interno di un rapporto sano la persona non dovrebbe annullare sé stessa, sia l’uomo che la donna non dovrebbero metaforicamente “togliersi la vita” con il fine di ottenere ciò che non trovano dentro di sé.

La persona che soffre di dipendenza affettiva vive costantemente con l’angoscia e la paura dell’abbandono convinta di non avere alternativa alla propria relazione, pur riconoscendone i limiti ed è disposta a pagarne i costi emotivi, con l’intento di alimentare un rapporto disturbato che la faccia sentire illusoriamente non sola.

Fabrizio De Andrè unisce l’amore cieco di un uomo, un amore che non vede incastrato con la vanità ed il sadismo di una donna.

La pratica clinica evidenzia numerosi legami basati su bisogni antichi e lontani dalla coscienza, che sfociano in relazioni distruttive, alimentate da azioni tendenzialmente incontrollabili e ripetute nel tempo che portano a situazioni dolorose, azioni che Sigmund Freud definì “coazione a ripetere”.

In altre parole, la persona inconsapevolmente continua a ricreare in modo obbligato situazioni che le causano sofferenza e malessere.

Il padre della psicoanalisi usava il termine “anima”, in luogo di “psiche”, forse perché l’anima ha dentro sé i sentimenti dell’inconscio, come quello d’amore e non solo gli istinti e, a volte, due persone affettivamente senza equilibrio si uniscono in modo tale, come se le loro anime si toccassero, ma senza uno scambio complementare e costruttivo.

l partner idealizzato e “salvatore”.

L’epilogo cantato, inteso come eccesso di difesa, lei ed il non sapersi difendere, lui, suggerisce senza giudizio l’amaro niente di chi si difende troppo ed il vuoto di chi si svena, avvicinabile allo sfinimento emotivo di coloro che amano troppo, siano essi uomini o donne invasi dalla dominante illusione che, assecondare il partner idealizzato, sia l’unico modo per essere amati.

Coloro che dipendono affettivamente si nutrono di una illusione salvifica, ossia l’illusione di essere salvati da qualcuno dalle trascuratezze vissute nell’infanzia, delegando la propria “felicità” al partner nell’attesa di essere ricambiati, perché non in grado di riconoscere che il proprio vuoto non può essere colmato da altri, in quanto un genitore psicologicamente esistito in modo parziale o “non sufficientemente buono”, secondo Winnicott, non potrà essere sostituito neppure dal partner più amorevole ed equilibrato.

Facilmente, accadrà che il o la dipendente

“cercherà di aggrapparsi sempre più al suo oggetto d’amore, per ottenere sempre meno” (Borgioni).

Per il dipendente affettivo, anche l’amore corrisposto difficilmente riempirà il suo vuoto interiore, per cui aumenteranno sia la richiesta che le dimostrazioni d’amore anche in modo vorace ed incontrollato, favorendo così l’allontanarsi di partner sufficientemente equilibrati e sovente l’avvicinamento di quelli con personalità narcisista, tendenzialmente seduttiva ed in cerca di ammirazione, apparentemente forte ed autonoma ma scarsamente empatica.

In fondo, ogni essere umano ha il desiderio di essere amato, riconosciuto e sostenuto.

In riferimento alle parole di Fabrizio De Andrè ed a quanto esposto, (lei) cerca l’ammirazione e la devozione arroccata sulla difesa di sé stessa, mentre (lui) si attacca a lei indifeso e disposto a “tutto” pur di sentirsi amato.


Sono psicologo laureato in Psicologia Clinica e di Comunità presso l’Università degli Studi di Bologna, specializzato in Psicoterapia ad Orientamento Psicodinamico, presso la Fondazione Bonaccorsi di Milano. Ho maturato esperienza clinica anche in ambito domiciliare, scolastico e comunitario. Sono collaboratore interno presso il Centro Dipendiamo, nello specifico referente per la dipendenza affettiva, sessuale e da internet, occupandomi di psicoterapia individuale a medio e lungo termine e di gruppo verso adulti ed adolescenti.


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