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Marnie: la donna intrappolata nell’identità di bambina

Marnie | Dipendiamo.blog

Una giovane attraente donna dai capelli scuri, cammina con una valigia lungo i binari di una stazione ferroviaria. Questa donna ha appena rubato 10.000 dollari, approfittando delle sue mansioni fiduciarie di segretaria.

Subito dopo il colpo, fugge, torna del suo colore di capelli, biondo platino, cambia nuovamente identità e città. Prima di proseguire con i suoi piani, si reca in campagna a trovare il suo amato cavallo Florio, per poi andare a Baltimora a trovare la madre, una donna fredda, con un grave handicap alla gamba. L’incomprensibile freddezza della madre, turba Marnie così come la fobia per il colore rosso e gli incubi notturni che spesso la tormentano nel sonno.

L’incontro tra Marnie e Mark

Lasciata la madre, Marnie si dirige verso Philadelphia e si candida quale segretaria presso una società di proprietà di un giovane e ricco imprenditore, Mark Rutland. L’uomo, che aveva già notato la ragazza presso un’altra società ove era stato commesso il furto, è talmente colpito dalla bellezza e dal comportamento insolito della ragazza, che nonostante i gravi sospetti, la assume.

Spinto dal desiderio di conoscere meglio Marnie, Mark le chiede di fare gli straordinari e mentre un temporale li sorprende rompendo delle finestre, la ragazza sino a quell’istante di ghiaccio, cade in preda all’angoscia e si fa baciare dall’uomo.

Da questo momento Marnie si lascia corteggiare da Mark e persino presentare al padre di lui.

Marnie ci riprova, con un finale inaspettato

A questo punto Marnie non può più aspettare ad agire, una sera mette a segno il colpo e fugge. Questa volta però Mark, che sa della passione di Marnie per i cavalli, la ritrova presso il maneggio. Marnie è messa alle strette dall’uomo, non le serve mentire e supplicare di lasciarla andare, lui la vuole sposare e Marnie, per evitare il carcere, accetta. Riportata Marnie a Philadelphia, Mark annuncia le nozze, si sposano e partono per una costosa crociera ai Caraibi.

Durante il viaggio di nozze, però, i problemi di Marnie emergono prepotentemente: la donna non tollera l’idea di essere toccata da un uomo, nemmeno da suo marito. Mark, aspetta pazientemente, ma quando una sera cede ai suoi istinti, Marnie non regge all’accaduto e cerca di affogarsi nella piscina della nave.

Le fobie di Marnie: indagine sul suo passato

Decidono di tornare allora a casa. Mark cerca di rendere felice in ogni modo la moglie: gli fa arrivare il suo cavallo Florio, la riempie di regali, organizza una festa, ma gli incubi e le fobie di Marnie, che si rifiuta di consultare uno psichiatra, persistono.

Mark decidere allora di indagare sul passato di Marnie e scopre molte verità: viene a conoscenza non solo che la madre di Marnie non è morta ( diversamente da quanto sostenuto dalla moglie) ma che molti anni fa fu processata per omicidio.

Nel corso di una battuta di caccia, Marnie innervosita dalla visione del colore rosso, si lancia in un folle corsa con il suo cavallo Florio che si ferisce gravemente. Per porre fine al dolore del suo amato cavallo, Marnie gli spara. È sconvolta e in preda ad impulsi incontrollati torna alla villa per cercare di rubare il denaro nella cassaforte. Stavolta però Mark ha avvolto le banconote con del nastro rosso e Marnie si blocca.

L’ora della verità nascosta

Il marito decide allora di mettere Marnie dinnanzi a quella verità, rimossa dalla sua mente, ma che con veemenza tormenta Marnie. L’uomo la porta a Baltimora, dalla madre e pretende che la donna racconti alla figlia tutto quello che successe quella notte di tanti anni fa, mentre un tremendo temporale faceva da colonna sonora agli eventi.

La madre di Marnie, ragazza-madre, si guadagnava il denaro per sé e la figlia, prostituendosi e una notte, quando un marinaio aveva cercato di importunare la bambina, nasce una violenta colluttazione.

Nel sentire la madre che urla per il dolore perché ha la gamba bloccata, la bambina, per aiutare la mamma in pericolo, impugna un attizzatoio e lo colpisce sino ad ucciderlo. La madre di Marnie, per proteggere la figlia, si assunse la colpa, e fu assolta per legittima difesa.

Nel corso della narrazione, in modo quasi spiritico, Marnie inizia a parlare con la voce della bambina spaventata di quella famosa notte.

Ora tutto torna: il temporale, i lampi, i tuoni, il sangue. Marnie ora è libera, sa che in qualche modo la madre l’ha amata proteggendola e adesso può prendersi cura di sé e cercare di stare bene, anche accanto ad un uomo.

Marnie, film di Hitchcock del 1964, è un psico- thriller foriero di moltissimi temi psicologici.

Nonostante il film non abbia avuto successo, nel realizzare questa pellicola, Alfred Hitchcock mette in evidenza alcuni dei suoi temi psicologici più amati: il rapporto con la madre e la sessualità.

Rubare per ottenere l’amore della madre

Da subito si evince il disperato tentativo di Marnie di farsi amare da una madre che si mostra sempre fredda e indifferente a qualsiasi cosa la figlia faccia per lei, prestando maggior attenzione alla figlia di un’estranea che a lei.
Eppure per compiacere la madre, Marnie è diventata un’abile criminale che nessuno riesce mai a prendere, è indipendente, non stringe relazioni con nessuno, proprio come, consapevole e compiacente, osserva la madre:

“Marnie è troppo furba per farsi confondere dagli uomini, …una donna per bene non ha bisogno degli uomini”.

Nonostante tutto questo, la madre continua a tenere le distanze dalla figlia, non la accetta, non riesce a trasmetterle affetto.
E questa manifesta assenza di amore, sembra spingere Marnie a continuare a rubare, non per necessità, ma per il brivido di sfidare il prossimo e strappare agli altri quello che lei non ha, in un meccanismo perverso di compensazione.

E ogni volta Marnie si trasforma in una nuova persona: cambia colore di capelli, città, inventa un altro passato e in una realtà parallela di menzogne, continua a recitare la sua parte di devota, perfetta e insospettabile segretaria.

Dopo ogni colpo il suo personaggio fittizio muore e lei ritorna Marnie solo con il suo unico vero affetto, Florio, il suo cavallo. Non è un caso che l’altra tappa che Marnie affronta sempre dopo i suoi colpi sia Baltimora, nella casa dove è cresciuta.

Marnie torna piena di doni dalla madre, quasi a riscuotere il premio – l’amore materno – meritato per le azioni che lei ha commesso, eppure tutto appare sempre invano, rendendo sempre più grande e dolorosa la sua ferita di figlia non amata.

Solo grazie all’incontro con un uomo, che decide di prendersi cura di lei, il meccanismo si spezza.

Scavando nel passato di Marnie, l’uomo fa emergere la verità sulla difficile infanzia della donna e sulla misera esistenza vissuta dalla madre.

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Una storia di sacrificio

La madre di Marnie era rimasta incinta da ragazza, giovane e ingenua, abbandonata immediatamente dal padre che si era solo voluto divertire per una sera, ma la donna accetta la gravidanza e non cede alla proposta di dare in adozione la figlia, Marnie era sua.

La scelta non fu senza sacrifici, perché per mantenere lei e la figlia la donna deve prostituirsi. L’infanzia infelice di Marnie culmina nella serata dell’omicidio che la bambina commette per un gesto supremo di difesa della madre.

Sei la donna che avrei voluto diventare

Forse la donna seppur abbia lottato per la sua bambina, vede in lei la causa della vita grama che ha avuto, ragazza madre, povera e prostituta.

Allo stesso tempo però Marnie è fonte di riscatto del suo passato, perché quasi come se la figlia non fosse una persona distinta da lei, ne proietta un’immagine della donna diversa che avrebbe voluto essere; una donna che è in grado di mantenersi da sola, che non ha bisogno degli uomini e che rifiuta il sesso, come se fosse qualcosa di sporco, perché è così che lei lo ha vissuto.

E allora sua figlia diventa quella creatura che nella sua frigidità “…è fortunata ad essere così, è fortunata”!

Dal punto di vista della madre non c’è soluzione di continuità tra lei e la figlia, come se Marnie non avesse diritto di vivere tutti gli aspetti dell’esistenza umana, ma solo quelli approvati da lei e filtrati egoisticamente dal suo passato.

Altrettando interessante è il personaggio “crocerossino” di Mark Rutland.

Ma perché Mark Rutland, un uomo bellissimo, ricchissimo, pieno di passioni, libero e che potrebbe avere tutte le donne che vuole, punta gli occhi su una donna come Marnie?

Mark ha quasi la certezza che quella donna sia l’autrice del furto avvenuto presso la precedente società ove l’aveva già vista, ma è proprio questo che lo attira di quella curiosa creatura: la sfida.

La sfida di smascherarla, di farla propria per poi curarla.

In una scena iniziale del film, Mark, esperto di zoologia, mostra a Marnie la foto di un giaguaro, più feroce di una tigre, che lui si vanta di aver domato, e alla domanda della donna:

“a fare cosa?” l’uomo risponde: “a fidarsi di me, è già molto per una tigre…”

E infatti la relazione tra loro nasce sulla base di un ricatto, quello di Mark che prospetta a Marnie la scelta tra il carcere e il matrimonio con lui.

Anche se in una visione più romantica Mark appare il principe azzurro, bello, ricco ed empatico, dietro il comportamento di questo personaggio si nasconde il brivido di conquistare una donna che appare diversa, una che fugge e che, a differenza di tutte le altre, non subisce il suo fascino, ma che anzi lo rifiuta e lo deruba.

Marnie intuisce che dietro l’interessamento di Mark c’è qualcos’altro, dice a lui nel corso di una conversazione:

“no tu non ami me, io sono una cosa che tu hai catturato, tu mi ritieni una specie di animale che hai intrappolato” e lui replica “è vero lo sei, e ho catturato una bestia feroce questa volta e me la voglio tenere”

Scatta in lui il desiderio irrefrenabile di averla, di padroneggiare i segreti della sua mente e persino la voglia di possedere, contro la sua volontà, il suo corpo.

La mente geniale e, certamente un pò perversa di Hitchcock, lascia in penombra la “presunzione” arrogante che caratterizza il personaggio di Mark, enfatizzando l’aspetto romantico e giustificando le azioni dell’uomo mosso dai suoi sentimenti.

Prestando attenzione ai particolari Mark, invece, non sembra agire spinto dall’unico desiderio di amare e far star bene Marnie, ma di dimostrare a se stesso di essere in grado di riuscire in un’impresa impossibile: capire il mistero e la causa del disturbo della donna.

E ancora Marnie in una scena parlando con Mark osserva:

“se vuoi fare il medico perché non parti da te stesso? tu hai una patologica fissazione per una donna che non solo è una delinquente confessa ma che urla appena tu ti avvicini”

L’intreccio tra i due personaggi, sembra perfetto: la donna fragile e patologica e l’uomo forte ma, in fondo spento dentro, che ha bisogno di dare nuova linfa vitale alla sua esistenza.

Il personaggio di Marnie

Credo che nel personaggio di Marnie, per quanto estremizzato e caratterizzato da patologia, si possano rispecchiare quella parte di ogni donna rimasta intrappolata dentro la propria identità di bambina, che aspetta ancora di essere amata da una madre assente e anaffettiva.

Molto spesso all’esterno queste donne hanno assunto la maschera di persone apparentemente perfette ed indipendenti, nell’intento inconscio di allontanare gli altri da loro stesse perché sono convinte di non essere degne di essere amate, non essendolo state nemmeno dalla propria madre.

Il personaggio di Mark

Così come rappresentato da Hitchcock non è possibile tratteggiare meglio il personaggio di Mark – anche se conoscendo la genialità e la sottigliezza mentale di questo registra sono convinta che, se la mentalità dell’epoca glielo avesse permesso, avrebbe affrontato in ben altro modo le tematiche del film – e questo mi concede la licenza di voler credere che Mark sia semplicemente un uomo innamorato e meraviglioso, ma mi sento, da non addetta ai lavori, di consigliare a tutte le Marnie che c’è in voi, di non aspettare che un Mark Ruttland vi salvi da voi stesse.

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Categorie: Arte e Terapia
Francesca Gritti: Curatrice della sezione: Arte e Terapia. Avvocato penalista, appassionata di cinema e affascinata dall’introspezione che attraverso il cinema ognuno di noi può compiere. “Anche nella mia esperienza professionale mi capita spesso di incontrare donne che sono state dipendenti affettive. Si tratta solitamente di donne intelligenti e capaci in diversi settori della vita che, tuttavia non sono state in grado di spezzare legami malati. Certe di non poter vivere senza il proprio carnefice, hanno sopportato per lungo tempo umiliazioni, privazioni e maltrattamenti, convinte che fosse il loro prezzo dell’amore, sino a quando hanno raccolto il coraggio per dire basta ed essere risarcite per quanto subito”.
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